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Fakin’ Good Manners

Tempo di lettura: 5 minuti

Terzo brano del disco, un brano profondo, potente.

 

Avete visto, perché se leggete qui lo avete cliccato, il nostro TERZO video.

Questo video è il nostro masterpiece, il nostro esplosivo approccio con un video complesso.

Stiamo parlando del terzo brano del Disco Fake, album di debutto Roommates uscito nel Marzo 2017 (e se siete su questa pagina, non dovrei neanche scrivere queste ultime parole). Questo è stato il singolo “dolce” della band, nonostante il testo sia tutt’altro che delicato e carino.

A pochi giorno dall’annuncio di quello che sarà il “Lavoro del 2020”, continua ad essere interessante parlare e scrivere di quello che è stato l’insieme di sette brani che ha caratterizzato il nostro ingresso nel il mondo della Musica, non solo dal riprodurre e arrangiare brani altrui, ma nel trovare qualcosa da scrivere e dire in modo da poter lasciare una nostra impronta. I posteri ci diranno la sua dimensione.

Fakin’good Manners

Fakin’good Manners è il terzo brano del disco, è qualcosa di ben più tranquillo di Blow Away, brano precedente. Avete appena lasciato alle vostre spalle la potenza e la violenza di un brano e di un video che portano con sé gli schiaffi che ci può riservare la vita.

Avete ancora negli occhi e nelle orecchie le chitarre acustiche del finale del brano quando arriva sussurrato un arpeggio, sempre con la stessa cadenza, ossessiva, ed è l’inizio di Fakin’good manners.

Il brano è composto da varie parti e tanti, tantissimi strumenti. Le acustiche di entrambi i chitarristi, un basso, una batteria, un e-bow, una chitarra elettrica molto molto effettata che dà un senso spazialità grazie a note singole che fanno da contorno all’esecuzione, infine da un quartetto d’archi che alterna sapienti pizzicati a una presenza decisa.

Le voci sono 4, si aggiunge la voce femminile di Valentina Carenzo per tutti i cori.

Il tema del brano è piuttosto contorto: riguarda un breve corteggiamento “da bancone”, la storia di una coppia che si conosce in un locale dove uno dei due attende conversando con il gestore. Una scena vista e vissuta molte volte, una scena comune. Perché in fin dei conti la musica deve parlare anche di quotidianità, di bicchieri e banconi, di serate tranquille e normali.

Il protagonista attende una preda, attende qualcuno che si posi sul filo della tela, e quell’ipotetica trama è costituita da uno sgabello a fianco a quello “difeso” strenuamente dal protagonista stesso. All’arrivo della signorina, o signora, o chissà chi possa essere chi arriva, inizia una sorta di ballo, di girarsi intorno e annusarsi, soppesarsi, valutarsi. Lo scopo è quello di avere una persona con cui guardarsi negli occhi, con cui giocare quel breve rapporto interpersonale che contrappone due persone ai diversi lati di un tavolo vestito di bicchieri pieni e vuoti.

Il brano vede poi l’insieme delle due persone, e un finale che non ha nulla di romantico, nulla di principesco o fiabesco. Una “fine dei giochi” animata dalla necessità di dire “qualcosa di stupido” per interrompere e scacciare ogni demone della banalità che ricopre di aspettative ogni rapporto.

E quindi finisce, come è iniziato, un rapporto. Tra due persone che forse non si conoscono o non si conosceranno mai per quello che è il canone standard dei rapporti interpersonali, ma si sono vissuti e hanno giocato insieme. E per loro, per quell’istante, è ciò che conta. Forse l’unica cosa che conta.

 

Il brano

Il brano dura 5:17, è un brano lungo, arriva sussurrato da chitarre acustiche e rimane per buona parte su un registro molto tranquillo. La voce di Marco in strofa riceve la risposta di tutte e 4 le voci (sua, di Danny, di Mr Breeze e di Valentina Carenzo) durante i ritornelli.

Le acustiche (Maton e Yamaha) vengono presto sostituite dalla Lorenzi e dalla Gibson, mentre il basso resta il Lorenzi per l’intera durata del brano, anche se viene irrobustito dal secondo ritornello dal contrabbasso suonato ad arco del M° Ferrandi. Si, come può essere notato, dalla seconda strofa due violini, una viola e un contrabbasso entrano in scena. Prima col pizzicato dei primi tre e dal secondo che porta supporto al Lorenzi di Marco.

Da qui gli archi del M° Trabuio e del M° Ferrandi costituiscono la elegantissima linea portante del brano, accompagnando il finale dolcissimo fino alla chiusura.

La registrazione, come degli altri brani, è stata curata da Giovanni Nebbia (Sound Engineer che ha permesso la realizzazione del disco presso l’Ithil World), che ha lavorato con la sua classica maniacalità per rendere al meglio i suoni dell’intera orchestra di suoni che costituisce Fakin’good Manners. Sono infatti presenti numerosissime sovraincisioni di chitarre, di archi e chitarre particolari (ebow e chitarra effettata).

Il video

Il video di Fakin’good Manners è stato meno complesso da realizzare rispetto a Blow Away, ma non di molto.

Si alternano vari set:

  1. Il suonato, in un mulino nell’entroterra ligure
  2. La storia, in un pub storico di Imperia
  3. Vari dettagli, in disparate location

Tutto il lavoro è stato nuovamente sviluppato grazie a  Mizukovideo, ma non più presso il suo studio.

Il video vede scene molto eleganti girate “in bianco” con tutti i musicisti estremamente raffinati, all’interno di uno dei mulini più antichi della regione, qui ai lati si trovano due violiniste (Fedra e Salwa) che eseguono le parti registrate dal M° Trabuio. A queste si aggiungono le scene della storia, che vede un personaggio sempre in soggettiva che beve al bancone in un locale dove è molto conosciuto. Qui alternativamente fa la conoscenza di tre splendide signorine e, avendole di volta in volta conquistate, si fa portare via da loro per motivazioni che ora non ci sembra il caso di scandagliare.

Lo svolgersi di queste scene è sottilmente differente da quella che è l’idea del testo, ma si può vedere come un ripetersi della stessa scena in più giorni o frangenti, intendendo il tutto come qualcosa che può avvenire più volte e non necessariamente con le stesse persone.

Il finale presenta quindi il protagonista che va a bere un’ultima volta, a locale chiuso e solo con il gestore. Qui l’inquadratura soggettiva si scioglie finalmente rivelando che il protagonista era una splendida bionda, e che quindi, probabilmente, l’idea di chi vede il video per la prima volta viene ribaltata. Forse.

 

Il testo

E con questo si conclude anche Fakin’good Manners, ma ci sembra carino raccontare anche ora qualche dettaglio: anche per questo video abbiamo impiegato molto a girare ogni scena. Tutta la parte riguardante le scene di gruppo ha consumato un pomeriggio intero e una sera. Questo ha portato il locale a consumare quantità esagerate di birra (per inciso, era presente tra i barman anche il produttore della birra Nadir, ma qui dedicheremo un post apposito a questa collaborazione).

Le scente girate presso il mulino sono state GELIDE, e preparate con cura per quanto riguarda la disposizione di ogni punto luce, manco si trattasse del microfono della batteria del Black Album.

Il risultato è sotto i vostri occhi, diteci cosa ne pensate…

 

 

Per favore, dimentica il mio nome, per favore, perdona il mio peccato, ora raccontami qualcosa di stupido….

Comments: 2

  • Laura
    Rispondi 10 Febbraio 2020 09:50

    il mio preferito in assoluto…top…non c’è altro da aggiungere

  • Manuela
    Rispondi 10 Febbraio 2020 09:50

    Di Fake, Fakin’ Good Manners è la mia preferita.

    Già al primo ascolto, il pezzo mi rimase in testa e mi rapì per la sua dolcezza pacata ma incisiva, che risalta ancora di più perché inserita nel disco tra due canzoni potentemente esplosive;

    per il testo che in modo semplice descrive un gioco che ognuno di noi può aver giocato, alla ricerca di un emozione e di un contatto, forse fugaci o forse duraturi ma comunque necessari per sentirsi vivi;

    per quelle voci che sono anch’esse strumenti e che, insieme a quelli suonati con le mani, creano una melodia elegante e raffinata, particolarmente esaltata dall’ armonia degli archi.

    E che dire del video? La storia ambientata in quel pub familiare (dove spesso vi esibite e dove vi ho potuto sentire) si alterna alle nostalgiche immagini di voi quattro, rese tali prechè girate in tonalità seppia.

    Ecco, per tutto questo adoro Fakin’ Good Manners.

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