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Requiem di copertina, pt. 3 – Anarchy in the LP.

Tempo di lettura: 7 minuti

Nel 2008 l’Independent ha pubblicato un articolo, nel quale Peter Blake e Peter Saville decretano di fatto la fine della cover art. Saville ha legato il proprio nome ai Roxy Music di Flesh & Blood e ai New Order, ma il suo capolavoro assoluto è la copertina di Unknown Pleasure dei Joy Division. Blake è invece l’artista dietro alla copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band.
Secondo loro, nell’era della musica digitale in streaming, gli album stampati sono destinati a sparire. E con loro, tanti saluti anche alle copertine, ormai condannate a rapido oblio. Cerchiamo, quindi, di ricostruire alcuni dei capitoli fondamentali della storia della cover art nella musica e vediamo se veramente questa è la sua conclusione, o se semplicemente è un nuovo capitolo appena iniziato.
NOTA: Questo articolo è strutturato in quattro parti. Questa che state leggendo è la terza. Buona lettura!

Genesis, Nursery Cryme (Charisma Records, 1971) – cover art di Paul Whitehead

6 dicembre 1969. Il sogno di una generazione si è appena infranto. Mick Jagger e i Rolling Stones stanno suonando Under My Thumb e sotto il palco dell’Altamont Race Park si è scatenato un ennesimo scontro tra il pubblico e alcuni Hell’s Angels, incaricati della sicurezza dell’evento. La situazione precipita quando uno dei bikers accoltella un diciottenne afroamericano, uccidendolo. La tragedia pone fine alla stagione dei grandi festival e nell’immaginario comune si fa strada l’idea che lo Star-Spangled Banner di Jimi Hendrix a Woodstock non sia stato l’apoteosi di un’epoca, ma la sua elegia. Ironia della sorte, alcune tra le stelle più splendenti della generazione di pace, amore e libertà iniziano a cadere e a spegnersi tragicamente. Proprio in quell’anno Brian Jones aveva inaugurato ufficialmente il famigerato Club 27, poi raggiunto nel giro di poco tempo dallo stesso Jimi, da Janis e da Jim.

Yes, Relayer (Atlantic, 1975) – cover art di Roger Dean

In una manciata di anni la mistica psichedelica cede il passo al manierismo del progressive rock, che spazza definitivamente (anche se solo per pochi anni) gli stilemi compositivi del rock & roll e del blues, sostituendoli con un eclettismo che preferisce pescare dalla suite sinfonica o dal madrigale rinascimentale, piuttosto che da Elvis e Buddy Holly. La musica è spogliata di qualsiasi veste politica o sociale in modo da lasciare spazio alla ricercatezza tecnica e l’arguzia intellettuale delle composizioni, così come delle grafiche. Al manierismo musicale si affianca quello iconografico.

Le Orme, Felona e Sorona (Philips Records, 1973) – cover art di Lanfranco Frigeri

I musicisti spariscono dalle copertine, soppiantati da visioni, allegorie e chimere. In alcuni casi la copertina diventa persino spazio per la sperimentazione nel design e la ricerca nel packaging. Se già alla fine degli anni ’60 Andy Warhol ci aveva invitato a sbucciare la copertina dell’esordio dei Velvet Underground, nel 1972 i Jethro Tull ci spingono a sfogliare le pagine del St. Cleve Chronicle and Linwell Advertiser sulle note di Thick as a Brick. Senza dimenticare che nello stesso anno in Italia Mimmo Mellino decide di custodire gelosamente l’opera prima del Banco del Mutuo Soccorso in un salvadanaio di cartone.

Ramones, Ramones (Sire Records, 1976) – fotografia di Roberta Bayley

Nel 1974 Roberta Bayley è appena atterrata a New York dopo aver vissuto per alcuni anni a Londra e ha trovato già lavoro alla reception di un club nel Lower East Side. Il locale in questione è il CBGB, è stato inaugurato sulla Bowery l’anno prima ed è già diventato il cuore dell’emergente scena punk newyorkese. Folgorata da quel nuovo modo di intendere la musica e l’arte, nel 1975 Roberta acquista una fotocamera e inizia a lavorare come fotografa per la rivista Punk. L’anno dopo sarà lei a immortalare il meterorite culturale e sociale che stava per schiantarsi sulla Terra e che avrebbe portato all’estinzione i “dinosauri” del prog rock. Sulla copertina dell’esordio punk nel mercato discografico non campeggiano pterodattili metropolitani o armadilli a cingoli, ma quattro newyorkesi in blue jeans con l’aria da teppisti, davanti a un semplice muro di mattoni. “La musica per la musica” è durata poco meno di un decennio, collassando sulle proprie fondamenta sotto i colpi del nichilismo punk e della disillusione new wave.

Television, Marquee Moon (Elektra, 1979) – fotografia di Roberta Bayley

Complice la crisi energetica del 1973, che tra le altre cose aveva costretto le case discografiche a tagliare vistosamente i costi di produzione, nelle copertine degli LP si vede un ritorno alla semplicità e all’immediatezza. I Ramones, come tutti gli artisti che seguiranno le loro orme, non sono i tipi da scegliere costumi elaborati per le loro esibizioni, e di certo la loro musica non è da meno. I lustrini del glam rock sono spariti, così come i concept album del progressive. Il punk se ne frega. In questo contesto Roberta Bayley diventa l’osservatrice perfetta per testimoniare la parabola delle grandi band della seconda metà degli anni ’70. Le sue foto non sono mai pianificate e raramente sono “in posa“, in quanto l’intenzione è semplicemente quella di catturare istantanee, frutto di un rapporto di confidenza e intimità che si instaura tra soggetto e fotografo. Grazie a questo suo approccio “da dilettante”, la Bayley si troverà a lavorare ancora con i Ramones ma anche con Blondie, i Clash e i Sex Pistols. Anche per questo motivo la sua carriera nella fotografia sarà tanto fondamentale e influente quanto breve: dopo aver fotografato gli artisti di cui le interessava abbandonerà la fotografia.

Sex Pistols, God Save the Queen (Virgin Records, 1977) – cover art di Jamie Reid

Ben presto l’ondata punk attraversa l’oceano e approda nel regno di Sua Maestà la regina Elisabetta II. Malcolm Mc Laren è tornato in patria dopo la sua esperienza americana come manager dei New York Dolls con l’intento di creare una nuova band che possa incarnare lo spirito punk britannico. Per promuovere quelli che diventeranno i Sex Pistols coinvolge un vecchio compagno di studi alla Croydon Art School. Nato e cresciuto a Lodra in una famiglia di attivisti, Jamie Reid è l’uomo giusto per creare l’immagine perfetta per Johhny Rotten e compari, curandone ogni minimo dettaglio in modo da trasmettere le proprie idee anarchiche e la sua conseguente avversione verso le istituzioni.

Dopo l’esordio di Anarchy in the U.K. i Pistols decidono di omaggiare la propria regina, in occasione del suo Giubileo d’argento. Nella copertina di God Save the Queen, Elisabetta II viene sfigurata – o per meglio dire “censurata” – dal nome del gruppo e dal titolo del brano. L’intera grafica si poggia sul collage di elementi del tutto discordanti tra loro, letteralmente presi da diversi titoli di giornale, come se i Sex Pistols stessero chiedendo un riscatto per la liberazione del loro regale ostaggio. Dell’opera esistono varie versioni, di cui la più famosa presenta l’Union Jack come sfondo mentre la più controversa si spinge ben oltre, tappando la bocca della regina con una spilla da balia e coprendo i suoi occhi con due svastiche.

Sex Pistols, Never Mind the Bollocks: Here’s the Sex Pistol’s (Virgin Records, 1977) – cover art di Jamie Reid

Nello stesso anno Reid lavora alla copertina di Never Mind the Bollocks: Here’s the Sex Pistols. A sua stessa detta, l’intenzione è quella di realizzare “un prodotto usa e getta, colorato come un fustino di detersivo”. L’artista decide di non usare foto e di concentrarsi sul semplice utilizzo di caratteri tipografici con dei colori così sgargianti da risultare “violenti” e oltraggiosi, tanto quanto lo è il titolo stesso. L’osservatore se ne faccia una ragione, perchè non ha scampo: non c’è nulla da vedere, nessun dettaglio, nessuna distrazione a parte quelle lettere cubitali che vanno a comporre parole al limite dell’oltraggio.

Nonostante tutto, la rivoluzione punk, almeno nelle sue connotazioni originali, durerà appena tre anni. Nel 1979 i Ramones attraversano un periodo di declino, i Sex Pistols sono già al loro capolinea e i Clash iniziano a distaccarsi dalle sonorità degli esordi, dando alle stampe il doppio album London Calling. Dopo aver segnato in maniera indelebile il panorama musicale internazionale e aver fatto riscoprire al mondo occidentale le proprie radici rock, il meteorite si è schiantato al suolo frantumandosi in mille pezzi.

The Clash, London Calling (CBS Records, 1979) – cover di Ray Lowry da una fotografia di Pennie Smith

Elvis Presley, Elvis Presley (RCA Victor, 1956) – fotografia di William V. Robertson

 

 

 

 

 

 

 

 

Fine delle terza parte

CONTINUA A LEGGERE:
Requiem di copertina, pt.1 – Overture in blues.
Requiem di copertina, pt.2 – Psichedelia, tutte le teste ti porti via.
Requiem di copertina, pt. 4 – Show Must Go on.

 

 

 

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